L’India – Un viaggio che probabilmente non ripeterò (parte 1)

“L’India, un luogo di templi e di lebbrosi dal quale il sorriso di Buddha o di Śiva non sono mai stati cancellati, morbidi e incomprensibili, estatici e mortali.”

GIORGIO MANGANELLI

Si dice che l’India o la si ama o la si odia. 

Ho sempre saputo che viaggiare in India è uno shock culturale non da poco. Ha tanti pregi ma anche tanti difetti. È difficile da capire, è difficile da vivere, è difficile paragonarci al loro stile di vita. Quando viaggi in India devi essere pronto a tutto e bisogna essere flessibili.

Pensavo di essere pronto, ma probabilmente non lo ero. Forse non si è mai davvero pronti a certe cose, le vivi semplicemente sul momento.

Qui la mia/nostra esperienza di tre settimane. 

Il nord dell’India – Delhi

Siamo atterrati a New Delhi, la capitale del paese, verso metà dicembre.

Delhi ha una popolazione che supera i 32 milioni di abitanti. È la città più popolosa dell’India ed è la terza città più popolosa del mondo. Situata nel nord del paese è una delle più antiche città continuativamente abitate della storia. Divisa in Old Delhi – la città vecchia – e New Delhi, costruita durante l’occupazione dell’impero britannico verso inizio ‘900.

É sicuramente un posto che merita di essere visto una volta nella vita. Ha un qualcosa di speciale, devo ammetterlo. Non saprei precisamente dire cosa, ma Delhi ha un’atmosfera tutta sua, è affascinante ma al tempo stesso non vedi l’ora di andar via. Quando cammini per le strade della città il tempo pare fermarsi tra passato e presente, tra abbondanza e povertà assoluta, tra disorganizzazione strutturata e fracasso insopportabile.

Quando parli con le persone di Delhi si ha come la sensazione che loro sappiano qualcosa in più. Io penso che quando cresci in una città come quella, il cervello impara e funziona in maniera diversa dal solito. Perché? Forse bisogna imparare a gestire e sopravvivere in una vera e propria giungla urbana. Quando dico giungla urbana intendo una vera e propria giungla fatta di cemento, insidie e animali, perché tra cavi appesi, buche, spazzatura, mucche, cani e scimmie c’è tutto l’occorrente per una combinazione tra selvaggio e urbanizzazione.

Il periodo di Dicembre non è dei migliori per visitare il nord dell’India. La mattina e la sera fa freddo e c’è tanta nebbia; questo rende tutto più suggestivo e sembra di vivere in un film dove il finale non è scontato. Durante le ore più calde invece, persino in maglietta.

È affascinante pensare di essere in una delle città più popolate del mondo, devo dire però, che queste 32 milioni di persone si sentono tutte. Quando sono atterrato la sera, nonostante fosse tardi, c’era molta gente in giro. A Delhi non ti senti mai isolato. Non esiste privacy, c’è così tanta gente che difficilmente si rimane soli da qualche parte. 

Per quanto mi riguarda, la presenza di così tanta gente non mi ha disturbato, i clacson sono un problema invece.

In Asia in generale, diciamo che se il clacson è un vero e proprio modo di comunicare in strada; in India, è come se la gente si urlasse addosso senza ragione. È un continuo no-stop di clacson a qualsiasi ora del giorno, nemmeno in camera d’albergo abbiamo potuto evitare di sentirli; l’inquinamento acustico è insostenibile. L’aria irrespirabile e il fracasso senza fine, sono sicuramente i motivi principali per cui eravamo felice di lasciare Delhi.

Il quartiere vecchio è la parte più interessante – almeno per quanto mi riguarda – della città. Il fascino dell’antico con una modernizzazione caotica e casuale, tra palazzi vecchissimi e mal ridotti, mercati sovraffollati di persone e odori sgradevoli o di cibo speziato. Un viaggio nel viaggio. Non c’è una vera e propria ragione per cui consiglierei di visitare Delhi, però passeggiare senza meta nella parte vecchia della città, tra mercati e stradine ha avuto il suo perché.

L’episodio che mi ha colpito di più è stato di una mattina, passeggiando tra i mercati di Paharganj. Un piccione è rimasto incastrato tra i centinaia di cavi appesi. Improvvisamente una decina di persone si sono fermate e hanno cercato di aiutare il povero animaletto. Un uomo ha fermato un tuk tuk per strada e ci è salito sopra per raggiungere il piccione. L’uomo, proprietario del mezzo, non ci ha pensato due volte ed è andato alla ricerca di un paio di forbici. Il traffico che si è creato dietro di loro è stato inevitabile, – non che prima non ci fosse – ma nonostante l’intralcio, nessuno si è lamentato. La piccola folla che si è creata intorno alla scena, tifava per l’uomo e per la vita dello sfortunato piccione.

Il cavo che intrappolava la zampa del piccione, erano delle luci natalizie, che sono state tagliate senza pensarci due volte. Non solo il piccione è stato liberato, ma qualcuno dei presenti è spuntato con una crema da spalmare sulla zampa dell’animale ferito. Liberato e curato, è stato lasciato libero di volare e tutti sono tornati ai propri doveri come se nulla fosse.

Sono rimasto sorpreso dall’impegno e dall’efficienza nell’aiutare un piccione. Sarebbe bello se gli esseri umani mostrassero gesti di tale impegno anche nell’aiutarsi l’un l’altro. Questa premura per un animale in difficoltà mette in evidenza l’anima pura del paese.

Jama Masjid – Moschea del 1656 a Delhi

Mangiare a Delhi è un’esperienza. Di certo non mancano ristoranti e street food. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Noi non ci siamo fidati a provare il cibo venduto per strada, abbiamo assaggiato tè e comprato dei biscotti ma nulla di più. È troppo facile prendere una intossicazione alimentare in India; per i ristoranti non ci si può lamentare. Cibo ottimo anche se sovrabbondante di olio e prezzi molto bassi. Se si ama il cibo indiano, ogni pasto è una beatitudine di sapori. Io personalmente ho amato il Tali, il piatto completo della cucina indiana.

C’è tanto da visitare a Delhi; noi siamo rimasti soltanto due giorni; troppo pochi per visitarla come si deve, anche se pare brutto da dire, è stato bello andar via.

Jaipur 

È il capoluogo dello stato indiano del Rajasthan. Sembra una cittadella paragonata a Delhi, ma in realtà possiede più di 4 milioni di abitanti. È famosa per il soprannome di città rosa per il colore predominante delle sue abitazioni, ed è la classica meta turistica quando si viaggia nel nord dell’India.

Famosa per i bazar e dalle molteplici attività artigianali come gioielli, pietre preziose e stoffe.

Abbiamo pensato: una volta usciti da Delhi sarà tutto più calmo, ci sbagliavamo. 

Anche Jaipur è una meta molto turistica e come i posti più turistici di tutta l’India è invasa da tantissime persone. Una cosa bella dell’India però, a differenza del resto dell’Asia dove in determinati posti si incontrano solo turisti di prevalenza occidentale, è che il turismo di massa è per lo più indiano, quindi, la maggior parte delle persone in qualsiasi posto, è comunque locale. È pazzesco pensare che ci siano 1 miliardo e 400 milioni di indiani. Quando visiti città come Delhi o Mumbai ci si rende conto della parola sovraffollamento; e Jaipur, pur essendo “piccola” è comunque un gran casino.

Il Forte Amber merita di essere visto. È la principale attrazione turistica della città; una splendida rocca in stile Indù del 1500. Fu la residenza dei Maharaja Rajput e delle loro famiglie. Si passeggia con tranquillità senza una calca esagerata. Meglio andarci la mattina presto così da evitare troppa gente.

Piccola nota triste: è possibile arrivare in cima al palazzo cavalcando un elefante. Bellissimi da vedere ma è tristissimo assistere alle scene di così tanti elefanti trattati come animaletti da cavalcare, magari giusto per farsi qualche foto. Evitiamo questo genere di cavolate da turisti e speriamo che un giorno questa sofferenza inutile scompaia.

Altro pezzo forte della città è il Hawa Mahal, palazzo in stile architettonico di Jaipur del 1700. È davvero molto bello ma è difficile passeggiare nei dintorni, come nel resto della città rosa. Il numero estenuante di persone, i clacson senza tregua rendono la visita della città poco piacevole e stressante. Motivo per cui, anche da Jaipur, siamo stati contenti di andar via. È una costante in India, si ha la sensazione continua di voler cambiare luogo per la ricerca di tranquillità, una tranquillità che non si trova mai, ma d’altronde, questa è l’India.

Agra 

Il punto forte dell’India. Agra è celebre in tutto il mondo per essere la sede del Taj Mahal, uno dei monumenti più visitati dell’India, facente parte delle “Nuove sette meraviglie del mondo”.

Taj Mahal, il mausoleo edificato dell’Imperatore Shāh Jahān nel 1632 in devota memoria della moglie scomparsa Mumtaz Mahal.

Aspettavo questo momento da tanto. È stato uno dei motivi principali del mio viaggio in India.

É stata, forse, la delusione più grande del viaggio. Quando ho scritto all’inizio del testo, che dicembre non è il mese più adatto per visitare il nord dell’India, ho capito che davvero non è il periodo migliore; c’è anche un po’ di sfortuna dietro però.

Ci è stato consigliato di andare presto la mattina, alle prime luci dell’alba, così da evitare troppa gente e avere tutto il giorno a disposizione per visitare altro.

Alle 7 puntuali eravamo dentro il sito. Peccato però, che la nebbia fosse così fitta da non poter vedere nulla di nulla, senza contare poi il freddo dell’alba.

É stata una gran delusione.

Questa parte del viaggio è stata quella in cui mi sono l’anima in pace. La vita, mi sono detto, non va mai come te la immagini. Ho capito cosa si prova ad arrivare a Machu Picchu e non vedere niente. Trovarsi davanti a una delle sette meraviglie del mondo ma non poterla guardare. Fortunatamente da vicino era possibile ammirare i dettagli e godersi questa meraviglia. È davvero stupenda anche se non siamo riusciti ad ammirarla a pieno. 

Ad Agra c’è altro da visitare, come ad esempio il “Piccolo Taj” o il “Forte rosso di Agra”, ma per noi era abbastanza. Abbiamo preso un bus notturno la stessa sera, direzione città sacra: Varanasi.

Varanasi 

Varanasi è la città sacra per gli induisti: ogni fedele deve recarsi, almeno una volta nella vita, a Varanasi e immergersi nel fiume sacro Gange da almeno cinque diversi ghat (rampe di scale di pietra che terminano all’interno dell’acqua del fiume). Ogni mattina all’alba, gli indù compiono le proprie abluzioni sui ghat. Per gli indù c’è la convinzione che effettuando il bagno nel fiume, si possa ottenere il perdono dei peccati e un aiuto per raggiungere la salvezza. È una delle più antiche agglomerazioni urbane del mondo, essendo abitata da circa 3500 anni.

Abbiamo passato il capodanno in una delle città più sacre dell’India. L’atmosfera che si respira a Varanasi – smog a parte – è davvero suggestiva. È davvero il luogo della felicità e della morte.

Il Ghat Manikarnika, luogo per le cremazioni sulla riva del fiume. È uno dei luoghi di cremazione più antichi e sacri di tutto l’induismo; i fedeli credono che morire qui porti alla liberazione (mokṣa) dal ciclo delle reincarnazioni (saṃsāra). Mentre nelle altre città i crematori si trovano, per ragioni sanitarie, fuori dal centro abitato, Manikarnika è situato nel centro città.

É un posto che ti lascia sospeso nel vuoto. Non essendo induista è difficile immedesimarsi nella cultura e nelle usanze di questo luogo, però le sensazioni che si provano sono davvero uniche. La devozione di queste persone è sorprendente; se si pensa che il Gange è uno dei fiumi più inquinati della terra (è nella top 5), ormai può essere purtroppo considerato una fogna a cielo aperto dato che si mescola a più di 5 miliardi di acque nere, nel fiume proliferano batteri, virus e parassiti che sono all’origine di colera, epatiti, patologie gastrointestinali e parassitosi. Il colore dell’acqua è melmoso, sul marrone, ma questo non ferma gli indiani. Appena lì vicino, a pochi passi dai Ghat, ho assistito personalmente a un tubo di scarico delle fogne (riconoscibile dall’odore).

A Varanasi c’è tanto spirito dell’India: c’è tanta povertà, tanti bambini e gente povera per strada. Ci sono molti Sadhu. Il Gange, le preghiere e le cremazioni. È un posto sacro e di sicuro, uno dei posti più particolari del mondo. La sensazione che ho provato a Varanasi sono state davvero uniche. La cultura indiana, che per noi può sembrare senza senso, ma per loro ha un significato in questa vita e la prossima, ha un fascino proprio.

Anche se non si crede nell’Induismo, Varanasi ti trasmette il concetto che siamo solo di passaggio su questa terra e che la vita, lunga o corta che sia, è sacra e ha l’importanza che gli diamo noi.

L’India insegna. Ti fa riflettere.

Ti porta in una realtà cruda e cinica. È un luogo in cui giusto e sbagliato sono pertinenti solo al significato che ci hanno insegnato. Non ci sono vere e proprie regole, tutto è concesso ma tutto ha un significato, in questa vita o in un’altra. Ti rendi conto che il mondo è un posto indifferente. L’India ne è la prova.

Una realtà che ti schiaffeggia e ti delude, ti fa capire quanto la società sia un posto freddo, disinteressato, menefreghista. È impassibile alla sofferenza e noi, anche quando ne siamo partecipi e testimoni, siamo incapaci di cambiare qualcosa. Quando esplori, il nostro, è un mondo che provi a capire, perché è anche questo il senso del viaggio. 

Può sembrare senza senso, e più provi a capirlo, meno si capisce.

Quando viaggi, ti poni un sacco di domande sulla vita, e l’India è uno di quei posti dove di domande te ne poni molte, per poi arrivare alla conclusione che non si capisce un cazzo. 

Ed è proprio così che va il mondo.

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